I.
Carrara,
morti son
vescovi e
conti
di
Luni, e son
dispersi i loro
avelli;
gli
Spinola e
Castruccio Antelminelli
son
morti, e gli
Scaligeri e i
Visconti;
ed Alberico che t'ornò
di
fonti,
gli
antichi tuoi
signori ed i
novelli.
Ma su quante
città
regnano i
belli
eroi
nati dal
grembo de' tuoi
monti!
Quei che li
armò di
soffio più
gagliardo,
quei fa su te da
vertice
rimoto
ombra più
vasta che quella del
Sagro.
E non il
santo
martire
Ceccardo
t'è
patrono, ma solo il
Buonarroto
pel
martirio che qui lo
fece magro.
II.
Su la
piazza Alberica il
solleone
muto
dardeggia la sua
fiamma
spessa;
e, nel
silenzio, a
piè della
Duchessa
canta l'acqua
la
rauca sua
canzone.
Dalla Grotta dei
Corvi al
Ravaccione
ferve la
pena e l'opera
indefessa.
Scendono in
fila i
buoi
scarni
lungh'essa
l'arsura
del
petroso Carrione.
S'ode
ferrata
ruota
strider
forte
sotto la
mole
candida che
abbaglia,
e il
grido del
bovaro
furibondo,
ed echeggiar la
bùccina di
morte
come
squilla che
chiami alla
battaglia,
e la mina
rombar
cupa nel
fondo.
III.
Arce del
marmo, in te
rinvenni i
segni
che t'impresse
la
forza dei
Romani;
sculti al
sommo
adorai gli
Iddii pagani;
e
dissi: «O
Roma nostra, ovunque
regni!».
Dissi: «O mio
cuore, or fa che tu m'insegni
la
rupe che
foggiar volea con
mani
di
foco il
grande
Artier, sì che i
lontani
marinai la vedesser dai
lor
legni».
E dal
Sagro alla
Tecchia, da Betogli
al Polvaccio, da Créstola alla
Mossa
cercai l'arcana
imagine scultoria.
Tutta l'Alpe
splendea d'eterni
orgogli.
«O
cuor»
dissi «il tuo
sangue sì l'arrossa!»
E in ogni
rupe
vidi una
Vittoria.
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