Nolo acerbam sumere
Se Roberto ha avuto la
possibilità (pagata a caro prezzo … ) di essere fra i primi che hanno usato la
Mamiya 7 II, ritraendone le ben prevedibili soddisfazioni, Altair, nella sua
duplice veste di fraterno amico e di webmaster del sito Rolleiclubitaly.com ha
avuto il privilegio di leggere per primo lo scritto col quale venivano riferite
le caratteristiche e le possibilità di questo apparecchio la cui presenza sul
mercato dimostra come la fotografia analogica e in particolare quella che
utilizza il roll film 120 sia ancora una scelta valida per chi ama la
fotografia di qualità.
Come Rolleisti non possiamo
che rallegrarci poiché la prospettiva di usare ancora le nostre biottica e
sfidare qualsiasi utente di altro apparecchio a far meglio è legata alla
disponibilità dell’unico accessorio di cui una Rollei non può fare a meno,
appunto la pellicola.
Come fotoamatori siamo
tentati di investire la somma necessaria per il nuovo gioiello.
Come vecchi signori che
percorrono il viale del tramonto, con qualche rimpianto ma anche con la fiducia
di poter utilizzare le passate esperienze per non esser sorpresi in ozio
stupido all’appuntamento estremo, siamo indotti a meditare sulla perdurante
validità, grazie al progresso tecnologico, di strumenti realizzati anni addietro
e destinati ad operare in situazioni più sfavorevoli rispetto alle attuali.
È fin troppo facile
osservare che la fotografia è una catena (una filiera si direbbe ora con
orribile travisamento verbale, recepito anche dal legislatore, che ha attribuito
alla parola
un significato diverso da quello di origine) e come tale cede alle
sollecitazioni quando si rompe l’anello più debole.
Sulla qualità dell’immagine
finale influiscono, a parte le capacità dell’operatore, la qualità dell’ottica, l’esatta esposizione, la
rispondenza del supporto sensibile, il corretto sviluppo, la tecnica di stampa.
Tutti i fotoamatori che
hanno curato in proprio sviluppo e stampa sanno quanta cura sia necessaria per
ottenere negativi in cui la grana sia poco visibile, il contrasto adeguato, le
inevitabili imperfezioni ridotte al minimo e ancora quanta attenzione richieda
eliminare ogni traccia di polvere i cui granelli man mano che aumenta il
rapporto di ingrandimento divengono dapprima sassolini e poi macigni. E sanno
anche come un’immagine che sembrava nitida al provino per contatto o con minimo
ingrandimento tenda a sfarinarsi, fino a divenire poco gradevole, man mano che la
colonna dell’ingranditore si innalza.
I costruttori di apparecchi
fotografici ben conoscono il loro mestiere e per ridurre al minimo tali
inconvenienti hanno seguito, a metà del secolo scorso la via più semplice,
quella di offrire, a quanti non intendevano investire somme ingenti, apparecchi
di medio formato ben curati, tali da consentire buoni risultati nel classico
formato cartolina e anche accettabili 30x40, ottenuti con un ingrandimento
limitato a 5 – 6 diametri.
Ma col passare degli anni la
situazione si è evoluta, come sempre in meglio sotto alcuni profili e in peggio
sotto altri.
All’epoca in cui Altair
faceva i primi scatti una pellicola bn da 50 ASA, indicati come 18° din, era
considerata abbastanza rapida e tuttavia, se non trattata con sviluppo
finegranulante, già mostrava i propri limiti con 3 o 4 diametri d’ingrandimento;
ora vengono normalmente utilizzate emulsioni dai 100 ai 400 ASA e fotogrammi
24x36 consentono buoni ingrandimenti 50 x 75.
Lo sviluppo e la stampa a
colori, grazie all’impiego di apparecchiature fortemente automatizzate, non
risentono di polvere o impurità presenti nelle soluzioni di sviluppo e
fissaggio. Questi problemi si esasperano invece nel trattamento del bianco e
nero: chi, non disponendo di locale adatto a lavorare in proprio, ha provato a
rivolgersi a laboratori artigianali per il trattamento dei negativi e la stampa
ha avuto modo di collezionare solenni arrabbiature e tale situazione, comprensibile, sol che si consideri il
costo di un’accurata lavorazione non
assistita da macchinari, deve essere ben diffusa se è stata realizzata la nota
pellicola T 400, da trattarsi con lo stesso procedimento C41 dei negativi a
colori e con le stesse garanzie di costanza dei risultati e pulizia del
negativo.
In conclusione possiamo dire
che non è più necessario (ma neppure risulta sufficiente) aumentare il formato
per ottenere ingrandimenti di rispettabili dimensioni poiché il materiale
sensibile ora in commercio, sviluppato presso laboratori che operano col
rispetto delle specifiche volute dal fabbricante, consente un uso appagante del
35 mm.
Ma la pellicola 120 ha pur
sempre qualcosa di più e invero l’incipit dello scritto di Roberto ci ricorda
appunto che a maggior superficie utile corrisponde un maggior numero di
informazioni, forse non sempre indispensabili ma presenti e fruibili al bisogno.
Ancora questa pellicola consente di realizzare negativi in vari formati.
Dal 35 mm oltre al classico
formato Leica 24 x 36 si possono infatti ricavare, a parte un formato panoramico
fruibile solo in casi eccezionali, solamente il formato quadrato 24 x 24 e il
18x24 che appartengono alla storia della fotografia e non vengono da tempo
utilizzati.
Sono invece sfruttati i
tre formati base, 4, 5 x 6, 6 x 6 e 6 x 9 consentiti dalla pellicola da 120
nonché tutte le misure intermedie, fra le quali appunto il 6 x 7 della Mamiya.
Restringo questa indicazione ai
formati che hanno un lato uguale alla larghezza della striscia poiché è ovvio
che mediante il taglio si riesce ad ottenere qualsiasi superficie del negativo
nell’ambito di quello massimo consentito dall’apparecchio in uso ma questo
risultato si può ottenere in camera oscura e non è necessaria una delimitazione in ripresa.
Quale rolleista sono portato
a considerare formato ideale proprio il 6x6 che offre vantaggi sui quali ho
scritto a lungo in altre occasioni. Non sono però da trascurare il 4,5x6 che
consente una maggiore autonomia, 16 immagini sullo stesso rullo, ed anche il 6x9
che offre una superficie utile di oltre un quarto più di quella offerta dal 6x7,
anche se non facilmente sfruttabile.
E a questo punto voglio
richiamare ancora una volta l’attenzione sulle possibilità offerte dalle folding
di alta classe, quali venivano prodotte ancora negli anni ’50.
Una Bessa II 6x9 con il
Color Skopar o il Color Heliar, messa a fuoco telemetrica, otturatore da 1 a
1/500, o una Super Ikonta 6x9 con il Tessar 3,5 e analoghe caratteristiche, consentono di realizzare
negativi ricchi di particolari e tali da garantire forti ingrandimenti
anche a scopo professionale.
Una Super Ikonta 4,5x6 con
Tessar trattato per il colore offre risultati appena inferiori con un’autonomia
di 16 pose.
Purtroppo non è facile
trovare un esemplare in buone condizioni, specie nel formato 4,5x6.
Probabilmente la stessa semplicità della meccanica ha in molti casi propiziato l’intervento di
operatori privi della qualificazione e dei mezzi necessari e le conseguenze si
notano a distanza di anni, fino al punto da rendere impossibile una riparazione
a regola d’arte.
Ma se potete fruire di una
folding in perfette condizioni non lasciatela dormire nel cassetto poiché nel
90% dei casi può darvi soddisfazioni impreviste.
Vi è il limite dato
dall’impossibilità di cambiare obbiettivo ma anche gli utenti della Leica a
telemetro finiscono per usare quasi esclusivamente il 50 mm o al più il 35 e
gli appassionati dello zoom devono riconoscere che le foto migliori sono fatte
con l’obbiettivo regolato intorno al 50 o al medio grandangolo e ben di rado si
fa ricorso alle altre focali.
La praticità di un
apparecchio di medio formato che, una volta ripiegato, ingombra quanto una Leica
se nel formato 6x9 o quanto una compatta se nel formato 4,5 x 6 vi mette però in
condizione di avere pronta la vostra compagna di viaggio anche quando non siete
usciti col preciso intento di far fotografie.
Certo una
Mamiya 7 II è tutt'altra
cosa ma anche la soddisfazione di lavorare con gli apparecchi di una volta non è
trascurabile.
Altair
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