polvere


Polvere, eterna nemica

 

 

Quando lo sviluppo e la stampa avevano luogo nel retrobottega di piccoli negozi, ad opera dello stesso titolare che alternava la vendita di un caricatore al controllo dei negativi immersi nelle bacinelle verticali ed alla manovra dell'ingranditore era frequente vedere foto nel complesso accettabili guastate da macchie e segni più o meno marcati.

Il fotoamatore man mano che migliorava le proprie cognizioni aumentava il grado d'insoddisfazione, girava per negozi vari, finiva per ... mettersi in proprio, giungendo così alla conclusione che qualche minimo segno parassita doveva essere accettato.

La polvere si insinua dovunque, si posa sui negativi durante il passaggio dinanzi all'obbiettivo, viene inglobata nell'emulsione durante lo sviluppo, e così via.

In pratica, malgrado ogni cura, non si può evitare qualche puntino o peggio tratto ondulato, dovuto a polvere ormai irrimediabilmente fissata nel negativo e anche durante l'ingrandimento è facile che qualche corpuscolo parassita si insinui nel pressa pellicola e, ingrandito di 5 o 10 diametri, lasci la propria ombra sul foglio di carta. Per eliminare questo inconveniente l'unico rimedio è la così detta spuntinatura, ovvero la copertura delle macchioline bianche direttamente sulla stampa con pennello a punta fine e apposito inchiostro.

Le cose sono andate meglio quando sviluppo e stampa sono stati affidati ad apposite apparecchiature chiuse, dalle quali era più facile tener lontano la polvere. Qualche segno compare pur sempre ma viene accettato come inevitabile. L'uso di sviluppatrici così complesse è riservato al materiale a colori, l'unico che ormai garantisce un flusso di lavoro tale da giustificare il non indifferente investimento. Tale è il vantaggio offerto da questo metodo di lavoro che per gli amanti del bianco e nero è commercializzata una emulsione che, sviluppata con il procedimento denominato C 41, nato per le pellicole a colori, consente di ottenere stampe di un bel colore seppia e anche di un bianco e nero ricco di mezze tinte.

Gli effetti più evidenti della polvere si manifestano nel contatto con il materiale sensibile. Si nota che anche i fotoamatori che provvedono alla scansione di negativi e diapositive devono fare i conti sulla polvere sempre pronta a farsi a sua volta ... digitalizzare. Gli apparecchi analogici invece, se tenuti con un minimo di riguardo, subiscono gli effetti dannosi della polvere ambientale solo dopo molto tempo, quando gli oli usati per la lubrificazione dei vari meccanismi si impastano e quando mirini, specchi ed obbiettivi perdono luminosità e brillantezza per il velo che penetra all'interno. Ma per quanto riguarda in particolare le ottiche, più che la polvere si deve temere la muffa. Un ripristino dell'ottica e della meccanica rientra però nell'ambito della manutenzione ordinaria e pone limitati problemi.

Per gli apparecchi digitali il problema si pone in termini inversi nel senso che il componente che teme di più la polvere è il sensore, assimilabile in qualche modo al materiale negativo e peraltro destinato a restare all'interno dell'apparecchio e suscettibile di esser sostituito solo a prezzo di un'operazione così complessa e costosa da risultare poco conveniente rispetto ad una sostituzione.

Quando per la prima volta, or sono diversi anni, ho esaminato sul monitor le immagini scattate da un mio nipote con una modesta compatta da due megapixel, dono di laurea, sono rimasto favorevolmente impressionato dalla pulizia dell'immagine, al confronto con quelle, infinitamente più ricche di particolari e di sfumature ma anche di qualche segno di polvere, da me ottenute con la scansione di diapositive riprese con la Leica M6.

Ma il problema di mantenere pulito il sensore è davvero grave, come si desume dalla corrispondenza indirizzata alle riviste del settore da lettori preoccupati e anche dalla comparsa sul mercato di set di pulizia la cui efficacia in concreto è tutta da verificare. Un professionista da cerimonia cui mi appoggio abitualmente per inviare al laboratorio il mio materiale mi ha riferito di aver più volte inviato alla revisione una reflex di buon livello il cui sensore mostrava segni di sporco tali da non poter essere nascosti con qualche intervento di post produzione,  ricevendo da ultimo il suggerimento di usare per quanto possibile  lo zoom ottenuto in kit con l'apparecchio, evitando per quanto possibile il cambio di obbiettivi. Quale rimedio estremo è stato suggerito il ritocco con Photoshop, certo più facile della vecchia spuntinatura ma inidoneo a restituire il sorriso di una sposa che pronuncia il si  non più eterno.

Anche i costruttori si stanno muovendo. Sono note le iniziative adottate da Olympus e da Canon, accolte con qualche scetticismo dalla stampa specializzata che finisce per raccomandare l'uso dei set da pulizia.

Vien voglia a questo punto di ripetere l'adagio "si stava meglio quando si stava peggio".  Ma la personale esperienza induce a minor pessimismo, sia pure con riferimento ad apparecchi non certo fra i più comuni.

Come ho più volte riferito nel mio sito personale, dopo un iniziale approccio alle Rollei 210 Motion e DK 3000, ho lavorato molto con tre apparecchi digitali, la compatta Rollei Prego, la Leica Digilux II, la RD1 Epson.

Gli apparecchi non sono stati davvero risparmiati: la Prego (utilizzata anche dal mio nipotino) ha scattato ad oggi 2.503 foto, la Leica Digilux 3.442, la Epson RD1 1.925. Le ultime foto scattate, sottoposte ad un esame attento, non evidenziano segno di sorta sul sensore. Eppure gli apparecchi sono stati usati con riguardo ma non certo con risparmio e per la Epson RD1 i cambi di obbiettivo sono stati frequenti poiché ho voluto verificare  il funzionamento delle varie ottiche Leica, Cosina, Russe, a vite come a baionetta.

Noterete che nessuno fra gli apparecchi da me usati è una reflex di classica derivazione, col tradizionale specchio ribaltabile. A questo punto, senza pretesa di insegnare il mestiere ai costruttori, continuo a non capire quale senso abbia costruire una reflex digitale con specchio a 45° e tutti i vari ammenicoli quando un mirino elettronico è in grado di offrire tutti i vantaggi della visione ttl senza impiegare congegni meccanici che prima o poi si logorano, distribuiscono all'interno minuscoli frammenti di metallo o di elastomero e gocce di lubrificante. frullandoli ad ogni scatto, assieme alla onnipresente polvere, proprio quando l'otturatore si apre e il sensore viene esposto a ricevere tutto quel materiale. Corre voce che la stessa Leica (o piuttosto i suoi partner orientali) abbiano finito per seguire la moda e la Digilux III offrirà una visione reflex con l'impiego di prismi di Porro. So anche che solo la reflex srl consente di usare qualsiasi tipo di obbiettivo, dal super grandangolo al super tele.

Ma ho letto con soddisfazione nel numero di novembre 2008 di Fotografia Reflex la presentazione della nuova Panasonic Lumix G1 che impiega un mirino elettronico, sia pure evoluto e perfezionato, e consente il cambio delle ottiche.

Altair

 

 

 

 

 

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